Nella civiltà greca antica, l’esigenza di comunicare una vittoria nei grandi agoni sportivi e di trasmettere il ricordo nel tempo presente e futuro, si affida a due sistemi di raffigurazione artistica: la poesia e l’immagine.
La poesia si basa sulla memorizzazione uditiva ed ha come strumento di diffusione la narrazione e l’ascolto, mentre l’immagine attraverso la pittura, la scultura e le incisioni ricorre alla memorizzazione visiva del segno (sema). Due modi diversi di rappresentazione dello sport, l’opera del poeta e quella dell’artista, ma non così distanti se Simonide (VI – V sec. a. C.) in una sorta di parallelismo definisce la poesia “pittura parlante” e la pittura “poesia silenziosa” e, se si considera che entrambi i sistemi nascono dalla comune esigenza di raccontare la notizia – anche se per committenza – e soddisfare la voglia delle genti di conoscere le gesta dei loro idoli. Per il vincitore olimpico, non basta aver acquisito il diritto di erigere sul luogo dell’evento una statua col proprio nome per rendere immortale la vittoria, quello che conta di più è che la celebrazione fosse il più solenne possibile affinché la fama varcasse i confini di Olimpia e della propria patria; pertanto che fossero componimenti poetici, epigrafi onorarie, monete commemorative o statue è solo una questione di prezzo al cospetto della gloria che ne derivava. Si sviluppa naturalmente una sorta di dualismo tra le potenzialità dell’arte della parola e l’arte dell’immagine, alimentata dalla consapevolezza dei poeti – per interesse di categoria – che la poesia si diffonde ovunque oltrepassando i confini territoriali e i limiti di tempo dando una fama più duratura, a differenza delle statue che vengono viste da un limitato numero di persone.“… anche mani mortali possono spezzare una pietra”, è quanto sostiene Simonide contro la pretesa di una perenne duratura della statua; più esplicito Pindaro nell’epinicio celebrativo la vittoria di Pitea:” non sono uno che fa statue o erigo figure immobili dritte sul loro piedistallo. Ma sopra ogni barca e sopra ogni nave, o mio dolce canto, salpa da Egina, per comunicare che il figlio di Lampone, il robusto Pitea, ha vinto ai giochi Nemei la corona del pancrazio”.  L’epinicio, molto diffuso tra il VI e V sec. a. C., è molto di più che un semplice componimento celebrativo alla vittoria o alla carriera dell’atleta, è soprattutto uno strumento d’informazione al servizio della propaganda politica che al pari della vittoria stessa determina il prestigio sociale della famiglia.
Diversi poeti rivolgono la l’oro attenzione verso questo tipo di opere letterarie, ma quelli più contesi sono Simonide, Pindaro e Bacchilide. Simonide (556 – 467 a. C.) è il primo lirico che ha fatto della produzione letteraria su committenza la propria professione. Nella sua poesia egli esalta la fatica e l’intelligenza e dà notevole risalto alla descrizione delle fasi di gara; l’atleta simonideo  non è  inserito in una dimensione mitica eroicizzante, anche se occupa comunque un gradino più alto rispetto agli altri uomini. Successivamente Pindaro (518 – 438 a. C.) e Bacchilide (518 – 450 a. C.) si contendono a suon di versi i favori delle corti e degli atleti, trovandosi, a volte, a celebrare la stessa vittoria (di Pitea nel 485,  di Gerone, tiranno di Siracusa nel 476). Spesso l’arte dell’uno viene confrontata a quella dell’altro, anche perché le opere dei due protagonisti presentano significative differenze d’impostazione: Pindaro apprezza l’eroica fisicità dei concorrenti, quindi la forza e la velocità, ma esalta anche le doti spirituali, civiche e politche in una marcata forma di adulazione nei confronti di coloro per cui i versi sono scritti; Bacchilide celebra il vincitore esaltandone gli aspetti più umani come la bellezza, la gioventù e la forza, inoltre, da ai suoi epinici una dimensione narrativa con più spazio alla rievocazione della vittoria attraverso le impressioni dirette della gara sportiva. Le opere di Pindaro ci restituiscono il profilo del perfetto sportivo – chiaramente aristocratico -, ossia “l’ideale olimpico”, mentre Bacchilide può essere visto anche come un cronista sportivo ante litteram, entrambi, però, hanno un orizzonte ideologico subalterno agli interessi economici ed all’orientamento politico dei loro committenti: l’abile sophìa dei nostri nello stendere il ritratto da tramandare al futuro deve pur sempre soddisfare chi ne fa richiesta.
Tuttavia, l’epinicio non ha lunga vita, già nella seconda metà del V sec. a. C, è scomparso di scena, mentre l’immagine, considerata dai poeti inferiore rispetto alla parola, continua a riscuotere successo: il monumento agonale e le raffigurazioni vascolari sono il corredo più ricercato nella celebrazione sportiva. Per lungo tempo, fino al periodo ellenistico, l’arte figurativa greca che si basa in modo significativo sulla rappresentazione dell’agonistica, non si discosta dai caratteri canonici riconosciuti all’atleta dall’ideologia tradizionale, tanto che dall’osservazione dell’essenzialità dei corpi degli atleti in azione trae ispirazione per modellare anche gli dei e gli eroi, mentre, dalla ricchissima documentazione che riproduce scene di allenamento, di palestre, di sforzo, ecc. emerge la simbiosi tra bellezza e azione in un contesto figurativo che non riguarda solo la corporalità ma tutti gli elementi di armonia che concorrono alla vittoria.

Il discobolo di Mirone è la massima espressione di “poesia silenziosa”.
Lentamente, l’arte da espressione di perfezione ideologica del periodo arcaico e classico, diventa sempre più espressione realistica nel periodo ellenistico e l’atleta può essere rappresentato con un pancione come in tante raffigurazioni vascolari pervenutici o in tutta la sofferente drammaticità espressa dai particolari artistici del pugilatore a riposo, fino spingersi addirittura a delle raffigurazioni con caratteri caricaturali in forma di comicità dissacrante e forse critica.

Sull’efficacia e la validità comunicativa dell’arte figurativa o dell’arte poetica nel celebrazione dell’atleta, obiettivamente propendiamo più per percezione diretta che l’immagine ci trasmette di uno scenario o di un’azione reale, anche se riconosciamo al racconto e alla scrittura il grande valore di stimolare la mente in un esercizio di elaborazione di immagini attraverso l’interpretazione descrittiva di avvenimenti sportivi reali e fantastici. Non vi è dubbio però, che entrambe le espressioni artistiche con le proprie testimonianze ci hanno raccontato e ci raccontano in modo completo il meraviglioso mondo dello sport nell’antichità, il valore educativo che gli veniva attribuito e lo spazio di primo piano che occupava nelle società antiche.

                                                                                                                                              Salvin

Di salvin