Le ricerche e gli studi, condotti negli ultimi anni, hanno messo in evidenza che una parte della popolazione scolastica presenta problemi di apprendimento, i quali influiscono notevolmente sul rendimento nelle diverse discipline e portano, nella maggior parte dei casi, a situazioni di disadattamento. Le difficoltà ad apprendere possono essere dovute a fattori ambientali e/o esterni allo studente (arretratezza culturale, scarsa stimolazione, assenze frequenti, difficoltà linguistiche, degrado sociale) oppure a fattori individuali (scarso funzionamento di capacità specifiche come linguaggio, lettura, memoria, attenzione, deficit visivi, uditivi, insufficienza mentale). Compito della scuola, oggi, è quello di saper leggere i bisogni degli alunni e garantire, “l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari del soggetto, …adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate”, così come recita la Legge 8 ottobre 2010, n.170: “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”. La suddetta legge ha segnato una svolta in materia di disturbi nell’apprendimento, regolarizzando situazioni che, nelle istituzioni scolastiche erano state in qualche modo “sommerse” o rimaste ai margini perché non contemplate all’interno della Legge/quadro n.104/1992 sulla disabilità. Per la prima volta, sono state introdotte in un testo legislativo la definizione di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), e quelle di dislessia, disortografia e discalculia, disturbi che, in un recente passato, venivano associati a pigrizia, a mancanza di volontà, interesse e impegno e da parte dei soggetti interessati.  Pertanto, come si legge nella norma suddetta, la dislessia è: “una difficoltà di apprendimento della lettura”, dovuta a difficoltà di decodifica del testo, a causa della mancanza di corrispondenza tra lettera e suono; la disgrafia è la realizzazione grafica poco chiara della scrittura; la disortografia è “un intralcio ad apprendere la scrittura”, dovuto alla mancanza della corrispondenza tra suono e lettera che causa errori ortografici; la discalculia, “un disturbo nel calcolo” e riguarda fatti aritmetici, la padronanza di abilità fondamentali come addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni, e divisioni; lettura e scrittura di numeri; abilità di conteggio e risoluzione di problemi.

Con la Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 e la Circolare ministeriale n.8 del 6 marzo 2013, viene compiuto un ulteriore passo in materia, in quanto in esse si prospetta una scuola inclusiva e viene messo in evidenza che i BES (Bisogni educativi speciali) non riguardano solo gli alunni “certificati” come diversamente abili, o alunni con DSA, ma anche quelli con “ svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”.

La suddetta Direttiva completa, pertanto, la casistica dei BES comprendendo anche le seguenti categorie:

Deficit del linguaggio: soggetti con bassa intelligenza verbale associata ad alt capacità di esprimersi nella comunicazione non verbale;

Deficit della coordinazione motoria: soggetti con disturbi motori;

Lieve deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD): soggetti con disturbi dell’attenzione e iperattività, di minore gravità, che non gli consente di ottenere la certificazione di disabilità;

Deficit delle abilità nella comunicazione non verbale: soggetti con bassa capacità di esprimersi a livello non verbale associata a un’alta intelligenza verbale;

 Funzionamento cognitivo (intellettivo) al limite (o borderline): soggetti con quoziente intellettivo globale che va dai 70 agli 85;

Svantaggio socio-economico e culturale: soggetti con fragilità emotiva e psicologica che condiziona le loro relazioni con l’ambiente, i contesti e le persone;

Mancanza di conoscenza della lingua italiana.

Tutto ciò viene confermato dalla già citata Circolare ministeriale n.8/2013, all’interno della quale, si precisa che la Direttiva del 2012 estende “a tutti gli alunni in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento, richiamandosi espressamente ai principi enunciati dalla Legge n.53/2003”.
Una volta identificati gli alunni con BES, si pone il problema di come intervenire per attuare un percorso “individualizzato” e “personalizzato”, che deve essere il frutto di una collaborazione e condivisione tra scuola e famiglia. In generale, l’intervento della scuola si attua attraverso le seguenti azioni:

Creazione di un ambiente accogliente e di supporto;

Revisione del curricolo;

Promozione della consapevolezza del processo di apprendimento;

Realizzazione di un apprendimento collaborativo;

Realizzazione di una didattica inclusiva;

Rimozione di barriere che impediscono l’apprendimento e la partecipazione sociale.

Nello specifico, per ciascun alunno con BES, il Consiglio di Classe, coadiuvato da referenti per BES, funzioni strumentali e altre figure di supporto, elabora un Piano Didattico Personalizzato (PDP), firmato da insegnanti, genitori e studenti. Il PDP è uno strumento di lavoro dei docenti in quanto, al suo interno, si definiscono, monitorano e documentano collegialmente le strategie di intervento e i criteri di valutazione più idonei al singolo caso, ma anche un documento informativo per le famiglie.

Nella stesura del Piano, il Consiglio può scegliere se e in che misura, come previsto dal Decreto Ministeriale n.5669/2011, adottare gli “strumenti compensativi”, utili per ovviare a eventuali carenze funzionali e superare alcuni ostacoli tecnici per consentire all’alunno di concentrarsi sui compiti cognitivi, e le “misure dispensative”, prestazioni da cui l’alunno con BES può essere dispensato in quanto non essenziali ai fini dell’apprendimento. Gli strumenti compensativi sono:

 Formulari, sintesi, schemi, mappe concettuali delle unità di apprendimento;

Tabella delle misure e delle formule geometriche;

Computer con programma di videoscrittura, correttore ortografico, stampante e scanner;

Calcolatrice o computer con foglio di calcolo e stampante;

Registratore e risorse audio (sintesi vocale, audiolibri, libri digitali);

Dizionari digitali;

Programmi di traduzione;

Schemi di sintesi per l’elaborazione, rielaborazione e/o esposizione di testi, con attenzione nella mediazione didattica a far precedere la sintesi all’analisi;

Mentre, le misure dispensative sono così descritte:

Lettura ad alta voce;

Uso del vocabolario;

Scrittura veloce sotto dettatura;

Scrittura in corsivo e stampato minuscolo;

Studio mnemonico di tabelle, formule, forme verbali in latino e greco, definizioni;

Sequenze lunghe di appunti;

Prendere appunti;

Rispetto dei tempi standard;

Copiatura alla lavagna di sequenze lunghe;

Lettura di testi troppo lunghi;

Calcoli complessi orali e/o scritti;

Studio, ove necessario della L2 in forma scritta;

Compiti a casa superiori a quanto richiesto per raggiungere gli obiettivi;

Interrogazioni non programmate;

Effettuazione di più prove valutative in tempi ravvicinati.

È evidente che tutte le scuole, per svolgere una funzione altamente sociale devono superare il paradigma dell’integrazione a favore di quello dell’inclusione. La didattica inclusiva prevede, di fatto, che dinanzi a un bisogno speciale, sia la scuola ad attivarsi e organizzarsi per offrire ai soggetti interessati le stesse condizioni di apprendimento di cui usufruiscono gli altri. Questo in quanto ogni studente è “unico e irripetibile”, e ha un modo individuale di comprendere, di elaborare e di apprendere. Esistono, di fatto, diversi stili cognitivi: lo stile riflessivo, per cui chi apprende usando questo stile preferisce pensare alle nuove informazioni in tutta tranquillità e in silenzio; lo stile razionale, che consente di cogliere i dettagli; lo stile intuitivo, che porta ad apprendere per scoperta indovinando il significato delle cose; lo stile verbale, in cui si predilige l’utilizzo delle parole; lo stile sequenziale, che consente di procedere a passi logici; lo stile globale, per cui si apprende per grandi blocchi, cogliendo il quadro generale prima dei dettagli.

Così come gli stili cognitivi, esistono anche diversi tipi di intelligenza: linguistica, musicale, cinestetica/spaziale, intrapersonale, interpersonale, matematica/logica, visiva, naturalistica. 

Tutto, pertanto, a scuola, dai libri di testo, ai banchi, alle attività didattiche, dovrebbe essere organizzato su misura, per facilitare l’apprendimento e dovrebbero essere messe in pratica particolari metodologie che consentano il potenziamento degli apprendimenti negli alunni con BES e non solo. Tra queste, si possono citare: il peer-tutoring, l’apprendimento tra pari attraverso il lavoro a coppie; il problem solving, che mettendo al centro dell’apprendimento lo studente, realizza la sintesi tra sapere e fare, consentendo di sperimentare in situazione.

Tutto ciò dovrebbe realizzarsi in un contesto cooperativo, in cui gli studenti possano apprendere in piccoli gruppi, aiutandosi reciprocamente. Il lavoro di gruppo non è una novità nella scuola, ma, spesso, gli studenti lavorano insieme senza trarne alcun vantaggio. Bisogna, pertanto, distinguere il cooperative learning dal tradizionale lavoro di gruppo che porta a livelli di risultati simili all’apprendimento individuale. In quest’ultimo non è presente una struttura di interdipendenza sociale, per cui, solo i più collaborativi interagiscono con gli altri.

L’apprendimento cooperativo presuppone, invece, la partecipazione attiva e il successo scolastico di tutti gli studenti coinvolti e si caratterizza di alcuni elementi fondamentali: positiva interdipendenza e responsabilità individuale, per cui ognuno si sente responsabile del proprio e altrui apprendimento; interazione faccia a faccia, per cui gli studenti insegnano gli uni agli altri; uso appropriato delle abilità nella collaborazione per sviluppare fiducia nelle proprie capacità, la leadership, la collaborazione, il prendere decisioni e la gestione dei conflitti; valutazione dell’efficacia del lavoro svolto dagli studenti  e il funzionamento del gruppo apportando  eventuali modifiche. Si tratta di un “Learning Together” (Apprendimento Insieme), come lo hanno denominato Roger e David Johnson, considerati i padri del modello cooperativo.

Con il cooperative learning si possono, quindi, organizzare attività, coinvolgendo e valorizzando contemporaneamente tutti, evitando di dover costruire un percorso personalizzato e individualizzato esclusivamente per gli scolari con BES.

Realizzare una scuola inclusiva significa anche porre attenzione agli aspetti emotivi, che, negli anni, sono stati troppo spesso trascurati nel campo dell’istruzione. Qualsiasi contesto interpersonale in cui si attivano tentativi di riuscire in qualcosa, può dare luogo a svariate emozioni: soddisfazione, orgoglio, invidia, vergogna, collera, frustrazione e senso di impotenza.

Fondamentale risulta, a tal proposito, la motivazione: si parla di motivazione intrinseca nel momento in cui è il soggetto, in generale, a intraprendere un’attività perché è essa stessa motivante e di motivazione estrinseca, quando entrano in gioco dei rinforzi esterni (vantaggi, riconoscimenti).
In ambito scolastico, è importante suscitare interesse per lo studio affinché l’alunno sia intrinsecamente motivato ad apprendere e in questo, la figura del docente gioca un ruolo fondamentale. Secondo Ausubel, il docente dovrebbe agevolare il processo di apprendimento, cercando di renderlo piacevole e interessante. Per creare un clima positivo, egli deve usare uno stile autorevole che consente, senza ricorrere alla minaccia e alla punizione, tipiche di uno stile autoritario, di far crescere l’allievo e di renderlo indipendente e sicuro, tale da riuscire ad assumersi le sue responsabilità.

Una didattica inclusiva è un modo di insegnare equo e responsabile che è rivolto a tutti gli alunni, non solo agli allievi con BES e fa capo a tutti gli insegnanti i quali devono essere tutti in grado di declinare la loro disciplina in modo creativo, adattivo, flessibile e il più possibile vicino alla realtà.
Un notevole contributo per la realizzazione di una didattica inclusiva proviene dalle Scienze Motorie. Diversi studi hanno, oramai, accertato, in generale, come l’attività fisica abbia un’influenza positiva sulle abilità cognitive, sia per quanto riguarda le funzioni esecutive, ma anche il controllo inibitorio, la memoria, l’attenzione, la capacità di pianificazione; ci sono, inoltre, diverse prove a favore dell’ipotesi che lo sport aumenti la produzione di neurotrofine che migliorano la vascolarizzazione cerebrale e favoriscono la plasticità cerebrale.

La motricità, inoltre, consente all’individuo di sciogliere e trasformare le proprie tensioni interne, che potrebbero, tra l’altro, disturbare la concentrazione su certi compiti da svolgere, in manifestazioni motorie accettabili da un punto di vista sociale.

L’educazione attraverso il movimento è importante sin dai primi anni dell’esistenza di un individuo e permette di migliorare, in generale, la qualità della vita. Muovendosi, l’individuo, sin da bambino, impara a conoscere correttamente il proprio corpo e la propria identità personale e acquisisce delle competenze che gli consentono di comunicare con gli altri. Attraverso il movimento è possibile per tutti confrontarsi, mettersi in discussione, relazionarsi, percepire e comunicare. Canevaro sostiene che “…l’educazione attraverso il movimento concorre a precisare e approfondire la formazione della disponibilità sociale della persona”, e consente lo “…sviluppo di potenzialità individuali, l’incremento di capacità e acquisizione di abilità, l’integrazione in contesti di vita”, soprattutto per quanto riguarda le persone disabili. L’attività motoria, essendo socializzante, diventa così, anche per persone con disabilità, motivo di emancipazione e di accrescimento.

Per quanto riguarda i Disturbi specifici dell’Apprendimento, inoltre, Benso, nel 2004, ha istituito un protocollo di riabilitazione dei suddetti disturbi. Il protocollo è basato su esercizi che consentono di rafforzare le abilità cognitive di base (memoria lavoro, percezione visiva, attenzione…) e il funzionamento del Sistema Attentivo Supervisore (SAS) assieme a una costante attività fisica. Secondo Benso, infatti, le difficoltà dei soggetti con DSA dipendono da debolezze del SAS e dai moduli da esso gestiti, in particolare l’attenzione. Se si rafforzano i moduli, si rafforza anche il SAS e si hanno prestazioni migliori. Tutto ciò è possibile con l’attività motoria che, oltre ad avere un fine riabilitativo, è piacevole e questo aumenta la motivazione. 

Lo sport favorisce anche l’interculturalità in quanto linguaggio universale e unificante: condividendo le stesse regole, persone di lingue diverse possono giocare insieme e capirsi anche senza le parole. Ciò rappresenta un primo, fondamentale step per supportare il numero sempre crescente di alunni stranieri. Una delle più importanti sfide che si pone la scuola oggi è, di fatto, garantire il più possibile le pari opportunità a questi studenti nel raggiungere un pieno successo formativo.

Considerato che per realizzare una scuola inclusiva anche nei confronti di chi ha dei bisogni speciali, a volte, occorrono degli adattamenti o delle modifiche, anche le scienze motorie devono far ricorso ad una didattica più attenta, flessibile e semplificata ma metodologicamente più creativa. Ciò comporta una modifica del curricolo e degli obiettivi, delle strategie di insegnamento e dei contesti di apprendimento in termini di spazi e tempi. Si parla di adattamenti educativi che riguardano specificatamente la didattica e la valutazione, adattamenti tecnici inerenti regole e regolamenti e adattamenti strutturali che consistono in attività particolari per determinate categorie di alunni.
L’adattamento deve perciò realizzarsi considerando i comportamenti e l’abilità del soggetto, le caratteristiche biomeccaniche del gesto motorio, la complessità coordinativa e le abilità cognitive e di attenzione, la sfera emotiva ed affettiva del piacere senso-motorio che viene generato.
Con lo sport, l’inclusione si realizza svolgendo attività in cui sia coinvolta l’intera classe nello stesso spazio e nello stesso momento, in cui la diversità diventa risorsa e arricchimento. Così facendo, si tende ad incentivare la valorizzazione delle capacità del singolo e vengono messe da parte le limitazioni, non si pensa al risultato finale ma al miglioramento e si da molta importanza all’interrelazione.
Ciò avviene già, ad esempio, nel cosiddetto sport adattato: si tratta di uno sport già esistente, modificato per quanto riguarda regole e strumenti per venire incontro ai soggetti con disabilità. Tra gli sport adattati si possono citare il tennis in sedia a rotelle, che prevede un secondo palleggio della pallina a terra prima che venga colpita, il basket in carrozzina con un palleggio ogni due spinte della sedia e il calcio per non vedenti dove si gioca con un pallone sonoro.

Accanto a questi vi sono i cosiddetti sport speciali, pensati per una tipologia di disabili come il goalball e il torball per i non vedenti, in cui si gioca con una palla contenente una campanella al suo interno.

Il tipo di sport che rispecchia le caratteristiche di una didattica inclusiva e che si può facilmente realizzare a scuola, perché non ha bisogno di particolari attrezzature, è, appunto, il cosiddetto sport inclusivo, lo sport di tutti e per tutti, dove partecipano atleti normodotati e disabili e dove ognuno può esprimere al meglio le proprie capacità.  Con esso, si cresce insieme, si impara a conoscere le differenti possibilità e i limiti dell’altro, si condividono successi e sconfitte. L’attività sportiva diventa il mezzo per raggiungere l’autostima, per realizzarsi e per crescere. Al centro vi è la persona con le proprie caratteristiche e i propri limiti e per la quale è pensato un ruolo preciso. Anche gli strumenti, le regole e gli spazi sono studiati in base alla persona che affronta delle sfide adeguate, che fungono da stimolo per il miglioramento personale. Alcune limitazioni potrebbero rendere poco stimolante per alcuni le attività previste in uno sport inclusivo, ma aiutano a crescere da un punto di vista anche collettivo oltre che personale. Quelle regole che limitano in qualche modo, diventano uno stimolo a costruire un gioco di squadra in cui ognuno, sfruttando al massimo le sue capacità può dare un contributo alla sua squadra. Solidarietà e collaborazione hanno il sopravvento in un clima positivo che favorisce il benessere di tutti i ragazzi.

Un esempio di sport inclusivo è il Sitting Volley, inventato nei Paesi Bassi nel 1956/57e diventato disciplina paralimpica nel 1980. Si tratta di una versione della pallavolo in cui i giocatori giocano seduti sul pavimento.

Le regole sono uguali a quelle della pallavolo con alcune eccezioni, tra cui le seguenti:

Nel momento in cui un giocatore tocca la palla deve trovarsi con le natiche a contatto con il pavimento.

 Il campo è più piccolo: 10 m x 6 m, diviso in due metà di 5 m x 6 m.

La linea d’attacco dista 2 m dalla rete.

La rete è alta 1,05 per le donne e 1,15 m per gli uomini.

La posizione dei giocatori in campo, per quanto riguarda le rotazioni, in battuta, in attacco dalla seconda linea, è determinata dalla posizione dei glutei.

Si può murare la battuta avversaria.

Il Sitting Volley è presente in tutti i livelli tecnici (dall’amatoriale alla Serie A). Non ha bisogno di attrezzature/presidi sanitari come accade per altri sport e consente un allenamento continuativo. Inoltre, è uno sport “open” perché può essere praticato sia da atleti disabili che da atleti normodotati, ovviamente attraverso movimenti svolti da tutti i giocatori mantenendo i glutei sul pavimento.Per le sue caratteristiche, il Sitting volley si configura come specifico intervento educativo che mira alle seguenti finalità:

Favorire la socializzazione e l’integrazione;

Promuovere l’interazione;

Dare a tutti pari opportunità;

Favorire il superamento delle diversità, l’accettazione dei propri e altrui limiti;

Incoraggiare il rispetto per se stessi e per gli altri.

A scuola, esiste ed è anche praticato il sitting volley propedeutico, utile per l’inserimento di soggetti con disabilità intellettiva relazionale, Esso, a differenza del sitting volley, consente di trattenere la palla prima che sia rilanciata a un compagno o nel campo avversario.

Secondo Bertini, allenatore, docente universitario e coordinatore tecnico nazionale della disciplina paralimpica, un insegnante che vuole far praticare questo sport deve tener conto e conoscere le caratteristiche delle lesioni dei propri giocatori, sapere come queste influiscono sull’apprendimento, individuare e far accrescere le loro potenzialità sommerse a causa di una lunga inattività e far ricorso a strategie alternative nel caso in cui i metodi convenzionali dovessero fallire.

Ma l’insegnante deve, fondamentalmente, concepire gli studenti con disabilità come persone, prima e, poi, come disabili, porre l’accento sull’abilità e non sulla disabilità, valorizzando al massimo le parti sane e aiutandoli a raggiungere delle mete realistiche, utilizzando un metodo individualizzato o, meglio, “adattando la tecnica ad ogni atleta”. Questo per offrire a tutti le stesse opportunità di crescita in un ambiente sano, piacevole e positivo.

Si può concludere, dunque, affermando che, poiché ”il rapporto con gli altri, non può essere vissuto solo attraverso il semplice livello razionale cognitivo, ma deve contenere anche reazioni emotive e fisiche…” (Wehman e Schleien, 1981) è evidente la grande valenza che l’attività motoria ha da un punto di vista psicologico, pedagogico e sociale, nella vita degli individui, “… perché si deve tendere alla creazione di un ambiente in cui soggettività in relazione sperimentino nuove opportunità di sviluppo e acquisizione di modelli comportamentali più appropriati al vivere sociale”.

BIBLIOGRAFIA

Canevaro A., Mandato M., (2004), L’integrazione e la prospettiva inclusiva, Roma, Monolite;

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Bertini L., (2013), Le guide della pallavolo. Sitting volley, Calzetti Mariucci;

A cura di Ciampi Scarpato R., Apprendere la relazione, atti di un convegno SIPI, maggio 2004, edito Tipografia four Colours process;

Casnaghi L., (2017) Open school Studi Cognitivi, Milano, (www.stateofmind.it)

Gelati M., (2004), Pedagogia speciale e integrazione, Carocci Editore;

Ausubel D. P., 1988, Educazione e Processi Cognitivi, Franco Angeli.

 DISPOSIZIONI NORMATIVE

Legge 8 ottobre 2010, n.170: “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”;

Legge n.104/1992: “Legge –quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”;

Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012;

Circolare ministeriale n.8 del 6 marzo 2013;

Decreto Ministeriale n.5669/2011.

 

Di salvin